Non tutte le mediazioni opache possono concretizzarsi nel reato ex art. 346 bis c.p., è necessario che la mediazione sia finalizzata alla commissione di un reato, idoneo a produrre vantaggio per il committente (privato).
Questa la sintesi della ricostruzione della fattispecie del reato di traffico di influenze operata dalla recentissima pronuncia Cassazione del novembre 2021.
Il problema sta infatti nella individuazione di quale sia la mediazione illecita, ovvero interferenza illecita, visto che la norma non tipizza o elenca quale siano le condotte ritenute interferenze lecite con la pubblica amministrazione, né quale siano quelle ritenute illecite, con l'evidente rischio di attrarre nella fattispecie penale tutte quelle condotte connotate da scarsa trasparenza, ma non per questo di per sé illecite. Ecco i passi della sentenza piu' significativi.
In definitiva le parti devono avere di mira un'interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente.
Il legislatore ha inteso punire con l'art. 346 bis cp in via preventiva e anticipata il fenomeno della corruzione sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte in precedenza irrilevanti prodromiche rispetto ai reati di corruzione consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell'altro (il privato interessato all'atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente)
La lettura della norma consente di individuare il nucleo dell'antigiuridicità della condotta penalmente sanzionata non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa) bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità l'influenza illecita sulla attività della pubblica amministrazione.
Infatti la norma pone sullo stesso piano (anche sanzionatorio) la intermediazione finalizzata alla corruzione del pubblico agente e la mediazione “illecita” così chiarendo che anche per quest'ultima forma di traffico l'antigiuridicità della condotta debba postarsi necessariamente sull'elemento finalistico.
La norma peraltro non chiarisce quale sia l'influenza illecita che deve tipizzare la mediazione e non è possibile, allo stato della normativa vigente, far riferimento ai presupposti ed alle procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (la c.d. Lobbying) attualmente non ancora regolamentata.
Il contenuto indeterminato della norma rischia di attrarre nella sfera penale a discapito del principio di legalità, le piu' svariate forme di relazioni con la pubblica amministrazione, connotate anche solo da opacità o scarsa trasparenza, ovvero quel sottobosco di contatti informali o di aderenze difficilmente catalogabili in termini oggettivi e spesso neppure patologici, quanto all'interesse perseguito.
E' necessario quindi ancorare la fattispecie ad un elemento certo che connoti tipizzandola la mediazione illecita e che costituisca una guida sicura per gli operatori e per l'interprete della norma.
A tal fine il Collegio ritiene che l'unica lettura della norma che soddisfi il principio di legalità sia quella che fa leva sulla particolare finalità perseguita attraverso la mediazione: la mediazione è illecita quando è finalizzata alla commissione di un “fatto reato” idoneo a produrre vantaggi per il privato committente.
Cass. Pen.40518/2021 6a sez.
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