Quali sono le operazioni inesistenti che possono essere contestate dall'agenzia delle entrate?
Cosa rischia il contribuente in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
Quali sono le prove che l'agenzia delle entrate usa per definire una operazione inesistente ai fini iva?
Quali sono le responsabilità del contribuente per le operazioni iva inesistenti?
Su richiesta di un nostro lettore utilizzando la recente giurisprudenza rispondiamo ai quesiti frequenti per chi svolge attività di impresa.
In tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una
evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi
oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della
sostanziale inesistenza del contraente;
ove l'Amministrazione assolva a detto onere
istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 9851 del 2018, Cass. n. 27555 del 2018, Cass. n. 15369 del 2020).
Le operazioni inesistenti ed i poteri del fisco
In caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’Amministrazione deve provare, oltre l’alterità soggettiva dell'imputazione delle operazioni (il soggetto formale non è quello
reale), che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o
avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente
cedente, con l'emissione della relativa fattura, aveva evaso l'imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero «a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente»
(Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-
285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50).
Le operazioni inesistenti ed i poteri del fisco
Questa prova può dirsi raggiunta qualora l'Amministrazione fornisca attendibili indizi,
idonei ad integrare una presunzione semplice (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059
del 2014; Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. Mahagèben
e David, C-80/11 e C-142/11); è sufficiente che gli elementi forniti dall'Amministrazione
si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione
della società interposta come cartiera (quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di
iscrizione, l'omesso versamento delle imposte, ...) ovvero a singole indicazioni
significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità dell'imprenditore, pur escludendo ogni automatismo probatorio o criterio generale predeterminato.
L'onere dell'Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va
dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta
all'Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che
l'operazione si inseriva in una evasione all'Iva e che tale conoscibilità era esigibile,
secondo i criteri dell'ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione
professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della
conclusione dell'affare ed afferenti alla sua sfera di azione.
Va osservato, in particolare, che (come già sottolineato da Cass. n. 24490 del 2015), se al
destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell'esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell'operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di
una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa dati il carattere
strutturale e professionale della presenza dell'imprenditore nel settore di mercato in cui
opera e l'aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri
operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo. Cass 26264/22
Raggiunta tale prova, è quindi onere del contribuente dimostrare - oltre all'effettività del suo interlocutore - la propria buona fede, ossia, mutuando i principi affermati dalle
Sezioni Unite n. 21105 del 2017, che non disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale
dubbio ovvero, come sopra osservato, a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto
e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente.
avv Aldo Lucarelli
Comments