Quale è il limite dell'uso dei fondi PNRR in relazione alla nozione di aiuto di Stato?
Va, beninteso, condiviso l’assunto che la matrice unionale della nozione di “impresa” emerge nel quadro della verifica dei presupposti per la corretta erogazione, anche a valere su cofinanziamento di fondi europei, di aiuti di Stato compatibili con i Trattati: decisivo accertare se l’attività ausilianda sia, o meno, in grado di incidere sulla concorrenza.
È noto, invero, che la definizione di aiuto di cui all’art. 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) prevede che siano incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali sotto qualsiasi forma, i quali, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. Per tal via, la nozione di aiuto presuppone che il beneficiario dello stesso sia, appunto, un’impresa, ossia un soggetto che opera in regime di concorrenza.
Ciò posto per analizzare l'oggetto in esame, l'impresa in chiave comunitaria, gli aiuti di Stato ed il PNRR. la nozione coinvolge qualsiasi ente che, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, esercita un'attività economica. Si tratta, con ciò, di una nozione non collegata alla soggettività del beneficiario, ma all'attività svolta: sicché, per esempio, nulla osta a che uno stesso soggetto possa qualificarsi, nella consueta logica delle geometrie variabili, come impresa per alcune delle attività che svolge e non per altre: nel qual caso, solo il finanziamento delle attività economiche costituirebbe (in presenza delle altre condizioni) un aiuto di Stato.
Laddove, per converso, le altre attività – non economiche – possono essere finanziate senza essere sottoposte alla disciplina degli aiuti di Stato, purché vi sia una netta distinzione, almeno contabile, tra i diversi flussi di cassa.
La prassi decisionale della Commissione UE e l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia UE, alla quale anche l’appellante fa diffuso richiamo, ha indotto, considerata l’importanza della materia, alla emanazione di un “comunicazione interpretativa”, preordinata alla sintesi dei principi generali: si tratta della Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all'articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (2016/C 262/01), pubblicata sulla GUUE C 262 del 19.7.2016 (c.d. Comunicazione Aiuti).
L'impresa in chiave comunitaria, gli aiuti di Stato ed il PNRR.
Come ivi evidenziato, e come, peraltro, ribadito dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, le norme in materia di aiuti di Stato si applicano, per l’appunto, “solo se il beneficiario di una misura è ‘un'impresa’”, con la precisazione che la qualificazione di un determinato ente come impresa “dipende […] interamente dalla natura delle sue attività”.
Il riferimento alla “attività economica” va acquisito nel senso della “fornitura di beni e/o servizi sul mercato”, dietro ordinaria corresponsione di un “corrispettivo”, normalmente pagato dagli stessi utenti e beneficiari.
Ne discende: a) che, in primo luogo, lo stato giuridico dell’ente, nella prospettiva qualificatoria di diritto nazionale, è effettivamente “ininfluente” (sicché, per esempio, un ente che, in base alla normativa interna sia qualificato come “associazione” o “società sportiva” o, appunto, “società cooperativa” può senz’altro essere considerato un'impresa, ai sensi del ridetto articolo 107, paragrafo 1, del Trattato; così come, per esempio, anche un ente facente formalmente parte della pubblica amministrazione);
b) che, in secondo luogo, non è dirimente lo scopo di lucro, vale a dire la destinazione dell’attività al conseguimento di utili: e ciò perché anche enti senza scopo di lucro possono “offrire beni e servizi su un mercato”;
c) che peraltro, in terzo luogo, un ente va qualificato come impresa “sempre in relazione a un'attività specifica”.
Tali conclusioni si fondano, in definitiva, sulla nozione di “servizio” di cui all'art. 56 TFUE, secondo cui sono considerati tali “le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione”.
Nella riassunta prospettiva, la circostanza che si tratti, in concreto, di società di tipo cooperativo non appare perciò, di per sé sola ed in via di principio, tratto differenziale decisivo, posto che – come la Corte di giustizia ha avuto modo di puntualizzare con la sentenza 8 settembre 2011, nelle cause riunite da C-78/08 a C-80/08, Paint Graphos Scarl & A., cui la stessa appellante fa diffuso riferimento, peraltro traendone argomento al proprio critico assunto – le cooperative, pur rette da principi di funzionamento peculiari che le differenziano nettamente dagli operatori economici, sono “imprese” anche quando svolgano attività economiche a beneficio dei propri soci i quali “sono al tempo stesso utilizzatori, clienti o fornitori, affinché ciascuno di essi possa trarre profitto dall’attività della cooperativa in base alla propria partecipazione nella medesima e in proporzione alle proprie transazioni con tale società”.
In effetti, la Corte evidenzia che un sistema di agevolazione, anche sotto il profilo fiscale, alle società cooperative deve ritenersi legittimo (in quanto non contrastante con il divieto di erogazione di aiuti di Stato) nella misura in cui (e a condizione che) le cooperative “operino nell'interesse economico dei loro soci e intrattengano con questi ultimi una relazione non puramente commerciale, bensì personale particolare, in cui essi siano attivamente partecipi e abbiano diritto ad un'equa ripartizione dei risultati economici”. In tal caso, non si tratta, in effetti, di attività di impresa, in quanto svolta in “autoproduzione”.
È, dunque, il rapporto con i soci che caratterizza e differenzia tale tipologia societaria, rendendola, a determinate condizioni, legittima beneficiaria di una misura non discriminatoria di agevolazione: dato che, in sostanza, il socio della cooperativa ha possibilità concrete di decidere il modello d'impresa, la qualità del prodotto o della merce, l'ambiente di lavoro e così via.
Per usare le parole della Commissione UE nella comunicazione del 23 aprile 2004 – che bene illustra ed anticipa il fondamento della decisione – nelle società cooperative i membri “hanno, in quanto utilizzatori, un'influenza reale sulle decisioni di gestione. La struttura di gestione partecipativa delle imprese cooperative genera gli attivi immateriali che sono il sapere e le competenze. Da questo punto di vista le cooperative sono scuole di imprenditorialità e di gestione per quanti non avrebbero altrimenti accesso a posti di responsabilità”.
È tale valore che rende accettabile un trattamento fiscale ed agevolativo particolare che non costituisca un'ipotesi di concorrenza sleale, onde la finalità mutualistica valga a sottrarre l'agevolazione alla cooperativa dal campo di applicazione del divieto di aiuti di Stato. In definitiva, il valore attribuito alla funzione sociale ed economica delle cooperative prevale, in tal caso, sul principio di funzionamento del mercato unico, rappresentato dalla libera concorrenza.
Quando ciò accade, allora, le cooperative con finalità mutualistica non rientrano nella nozione di “impresa”, essenzialmente correlata alla apertura al mercato.
D’altro canto, vale osservare, anche in relazione alla prospettiva interna, è ben noto il “fine mutualistico”, proprio delle società cooperative, non esclude, di per sé, la “natura di imprenditore commerciale di una cooperativa” (cfr. Cass., 24 marzo 2014, n. 6835 e Cass., 28 luglio 1994, n. 706): e ciò in quanto può assumere connotazioni e gradazioni diverse, che vanno dalla “mutualità pura” (caratterizzata dall'assenza di qualsiasi scopo di lucro) alla “mutualità spuria” (che, con l'attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando così il fine mutualistico con un'attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro: cfr. Cass., sez. I, 8 settembre 1999, n. 9513; Id., sez. V, 9 ottobre 2000, n. 13423).
Si tratta, in definitiva, di una valutazione da operare in concreto. (CdS 2867/2023)
Ove sorgano questioni di interpretazione sarà il Tar competente con il nuovo rito super accelerato a valutare la rispondenza degli Enti finanziabili con fondi di origine PNRR
Avv. Aldo Lucarelli
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