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Immagine del redattoreAvv Aldo Lucarelli

I gravi illeciti professionali ed il processo penale

Argomento spinoso che ha avuto differenti orientamenti giurisprudenziali, quello del calcolo del triennio per la valutazione degli illeciti professionali, a volte scollegato dal rilievo penalistico a volte connesso e conseguente a detto profilo.


Ecco quindi i diversi orientamenti:


a) per il riferimento al “passaggio in giudicato della sentenza di condanna” (in tal senso, tra le molte: Cons Stato, sez. III,1giugno 2021, n. 4201; Id., sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937; Id., sez. V, 29 ottobre 2020, n. 6635);


b) per l’aggancio momento di “pubblicazione della sentenza, ancorché non definitiva”, che “accerti”, nella sede sua propria, la rilevanza penale del fatto (in tal senso, per es. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. II, n. 731/2021);


c) per il richiamo a qualunque, obiettiva “vicenda” processuale (e.g. richiesta di rinvio a giudizio, adozione di misure cautelari et similia), in grado di “dare evidenza”, sia pure non definitiva, al “fatto imputato” (per es.: Cons. Stato, sez. III, 2 febbraio 2021, n. 958);


d) per il (più garantistico) riferimento al “fatto [storico] commesso”, in asserita linea con l’articolo 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE (cfr., per es., Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575).


Tra fatto commesso, fatto imputato e fatto a vario titolo accertato l’oscillazione si giustifica, in definitiva, in virtù della incerta base normativa del riferimento, oggi comunque mutata nel nuovo codice degli appalti di cui si dirà appresso.


In effetti, per il CdS 2023 n. 6584


deve senz’altro escludersi che possa farsi capo al momento del passaggio in giudicato della sentenza che accerti la commissione del fatto in sede penale.

I gravi illeciti professionali ed il processo penale


Come si è osservato in detta sennteza, invero, il d. lgs. n. 50/2016, adeguandosi sul punto alle indicazioni della direttiva 2014/24/UE, conferisce rilievo agli illeciti di natura penale secondo due diverse modalità:


a) quando si tratti (profilo oggettivo) di reati rientranti nel catalogo (da riguardarsi quale tassativo) di cui all’art. 80, comma 1, lettere da a) a g), in quanto commessi (profilo soggettivo) dai soggetti individuati (in guisa parimenti tassativa) dall’art. 80, comma 3 (complessivamente rientranti nel novero dei cc.dd. apicali), l’esclusione è disposta – ferma la possibilità del self cleaning, ove la pena detentiva non superi i 18 mesi o sia stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione (cfr. art. 80, comma 7) – in via automatica (cfr. art. 80, comma 1, secondo cui la circostanza “costituisce motivo di esclusione, senza altra valutazione), ma è subordinata alla definitività dell’accertamento (richiedendosi alternativamente la “condanna con sentenza definitiva”, il “decreto penale di condanna divenuto irrevocabile ovvero la “sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”): in tal caso l’interdizione all’accesso alle procedure evidenziali opera, con criterio di gradualità, per il tempo definito all’art. 80, comma 10 e comma 10 bis, primo periodo;


b) in ogni altro caso (che, per quanto chiarito supra, rientra nella fattispecie generale dell’art. 80, comma 5, lettera c) l’esclusione non è recta via ancorata alla pronunzia del giudice penale, ma è il frutto di una autonoma valutazione (ampiamente discrezionale) della stazione appaltante, che “dimostri con mezzi adeguati” (e ciò anche “nel tempo occorrente alla definizione del giudizio”: cfr. art. 80, comma 10 bis, terzo periodo) l’incidenza del fatto (in quanto ritenuto “grave”) sui requisiti di moralità dell’operatore economico che se ne sia reso colpevole, sì da rendere “dubbia la sua integrità o affidabilità).


I gravi illeciti professionali ed il processo penale


Appare, perciò, chiaro che il giudicato penale rappresenta elemento (tipizzante) della fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 1, ma non è elemento costitutivo dell’illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), sicché tra le due fattispecie non sussiste alcuna sovrapposizione. Nel secondo caso, è piuttosto la (pendenza) di un processo (o di un procedimento) penale ad integrare, nella valorizzata chiave indiziaria, un (rilevante) elemento di valutazione rimesso alla stazione appaltante.


In definitiva, l’illecito professionale (ancorché, per ipotesi, emerso nell’ambito di un processo penale) costituisce fattispecie del tutto distinta, la quale non presuppone la configurabilità di un reato, né l’accertamento definitivo di una condotta (essendo, di nuovo, sufficiente la dimostrazione “con mezzi adeguati” in sede evidenziale), né un grado di certezza nella valutazione (essendo necessario, ma anche sufficiente che la stazione appaltante “dubiti” dell’affidabilità dell’impresa).


L’illecito professionale, quindi, configura strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell’operatore, ed opera, quindi, a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale (che può anche non sussistere).


I gravi illeciti professionali

Ed è questa la ragione per la quale, proprio per l’ampio spettro operativo che lo caratterizza, il legislatore (europeo e nazionale) ha inteso limitare (sia pure con la considerata ambiguità) l’ambito temporale di rilevanza, circoscritto al triennio: trattandosi, invero, di fattispecie “aperta” e non tipizzata (a differenza del comma 1), è stata avvertita l’esigenza di definire il limite oltre il quale una determinata vicenda occorsa non può costituire elemento tale da rendere “dubbia” l’affidabilità dell’impresa, scongiurando in tal modo anche l’eccessiva (sproporzionata e irragionevole) estensione dei correlati obblighi dichiarativi posti in capo al concorrente.


Ne discende – se, come va ribadito, il presupposto operativo dell’illecito non coincide con la sentenza, dalla quale può, in ogni caso, prescindere (arg. ancora ex art. 80, comma 10 bis, terzo periodo, che si riferisce espressamente ad una situazione di mera pendenza del giudizio) – non si palesa congruo ancorare il decorso del termine di rilevanza oggettiva dell’illecito alla (eventuale) pronuncia con efficacia di giudicato, che nulla aggiungerebbe di per sé, se non in termini di mero rafforzamento sul piano probatorio, alla valutazione (autonoma ed anticipata) della stazione appaltante.


Occorre, in altri termini, dare coerenza alla prospettiva del legislatore: se l’attivazione della causa di esclusione è possibile anche prima (e perfino indipendentemente) di una sentenza di accertamento definitivo del reato (a differenza delle ipotesi di cui all’art. 80, comma 1), allora è giocoforza desumerne che alla stazione appaltante non tanto non sia (negativamente) preclusa, ma sia piuttosto (positivamente) imposta – allorquando si debba ritenere che gli elementi informativi a sua disposizione siano “adeguati” alla percezione del fatto ed all’apprezzamento della sua incidenza sulla moralità del concorrente – una delibazione dell’illecito ad excludendum. Sicché far decorrere il limite temporale di rilevanza del fatto (che è, in sé, anche limite ragionevole all’esercizio della facoltà di estromissione) dall’esito del processo penale (piuttosto che dal momento della sua percezione o percepibilità, sulla base di ogni elemento indiziario) appare non solo intrinsecamente contraddittorio, ma anche, in definitiva, contrario al dato normativo, così complessivamente ricostruito.


I gravi illeciti professionali


Con più lungo discorso, tenuto conto della possibilità di ricavare l’illecito professionale anche da accertamenti interinali o esterni all’eventuale processo penale (per esempio, da una richiesta di rinvio a giudizio o dalla emanazione di misure cautelari), ancorare al giudicato penale il decorso del termine triennale di rilevanza determinerebbe l’effetto (paradossale) di estendere a dismisura la valenza dello stesso, anche ben oltre l’effetto di un eventuale giudicato penale.


Una tale interpretazione è quindi certamente inammissibile, determinando un effetto “moltiplicatore” della valenza temporale dell’illecito (che ricomincerebbe a decorrere in occasione di ogni accertamento successivo in sede penale, fino al passaggio in giudicato), in palese contrasto con l’art. 57 della direttiva, e in violazione dei fondamentali principi di proporzionalità e ragionevolezza.



Se così è – una volta esclusa, in ogni caso, la possibilità di ancorare il termine triennale al passaggio in giudicato della sentenza penale.. quale che sia la soluzione preferibile (in ordine alla quale è, solo per mera e sistematica completezza di argomentazione, lecito soggiungere che l’opzione privilegiata dal nuovo Codice dei contratti pubblici, approvato con d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36 – peraltro inapplicabile alle procedure assoggettate ratione temporis al regime ultrattivo di cui al d. lgs. n. 50/2016: cfr. art. 226, comma 2 – è, pur nel contesto di una più articolata formulazione delle cause escludenti automatiche o non, fondamentalmente ispirata, nelle situazioni in cui conti il fatto penale non automatico, al rilievo del fatto processuale quale adeguato mezzo di prova: cfr. art. 98, comma 6 lettere g) e h), in relazione al comma 3 e all’art. 95, comma 1 lettera e) – essa non incide sull’esito della lite, che è determinato dalla circostanza che il termine triennale deve ritenersi in ogni caso decorso, sia con riferimento al fatto commesso, sia con riferimento al fatto imputato ed accertato. (cds 6584/23)



Studio Legale Angelini Lucarelli

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