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Immagine del redattoreAvv Aldo Lucarelli

Farmacie Comunali, gestione, affidamento e profili operativi..



Effettuiamo la ricostruzione normativa, ma anticipiamo la conclusione


si deve ritenere che un comune, nel caso in cui non intenda utilizzare per la gestione di una farmacia comunale i sistemi di gestione diretta disciplinati dall’art. 9 della legge n. 475 del 1968, possa utilizzare modalità diverse di gestione anche non dirette; purché l’esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole e dei vincoli imposti all’esercente a tutela dell’interesse pubblico.”


Ora vediamo come arrivare a siffatta conclusone, precisando sin da subito che si dovrà tener conto del profilo pubblicistico della questione..


Per risolvere la questione, si deve cominciare con il ricordare che l’assistenza farmaceutica, ai sensi dell’art. 28, comma 1, della legge n. 833 del 1978 (di istituzione del servizio sanitario nazionale), è erogata dalle aziende sanitarie locali attraverso le farmacie, di cui sono titolari enti pubblici (comuni e aziende ospedaliere) o soggetti privati a ciò autorizzati.

Con l’istituzione del servizio sanitario nazionale è stata quindi sancita la rilevanza sociale (anche) del servizio di distribuzione dei farmaci, che è svolto attraverso le farmacie pubbliche o private.


La distribuzione dei farmaci, con o senza oneri a carico del bilancio pubblico, costituisce, infatti, una delle modalità attraverso le quali si esplica il servizio sanitario nazionale e le farmacie – sia quelle assegnate ai privati sia, a maggior ragione, quelle a titolarità pubblica - sono uno strumento di cui il servizio sanitario nazionale si avvale per l'esercizio di un servizio pubblico di particolare rilievo sociale.

Il servizio farmaceutico era stato peraltro già disciplinato dalla legge n. 475 del 2 aprile 1968, in parte successivamente modificata ed integrata ma tuttora vigente, che ha stabilito che ogni comune deve avere un numero di farmacie adeguato (oggi una farmacia ogni 3.300 abitanti) e ben distribuito sul territorio (articoli 1 e 2 della legge).


Tale distribuzione deve inoltre rispettare l'esigenza di garantire l'accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate.


Anche per tenere conto di tali esigenze, l’art. 9 della legge n. 475 del 1968, modificato dalla legge 8 novembre 1991, n. 362, ha stabilito che la titolarità delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica può essere assunta per la metà dal comune.

Lo stesso articolo 9 ha poi precisato che le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite nelle seguenti forme:


a) in economia;

b) a mezzo di azienda speciale;

c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari;

d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità.


Fra le forme di gestione individuate dalla predetta norma speciale non era stato, quindi, previsto l’affidamento in concessione a terzi.


Il legislatore aveva, infatti, voluto privilegiare, tenuto conto della particolare natura sociale del servizio pubblico erogato, quelle forme di gestione, nelle quali il comune aveva un controllo diretto ed immediato dell’attività, essendo, invece, possibile la gestione da parte di terzi delle farmacie (non comunali) solo attraverso lo strumento dell’assegnazione (con autorizzazione) di una sede farmaceutica.


A seguito dei diversi interventi normativi, che, anche per adeguare la materia alle disposizioni ed ai principi comunitari, sono stati operati nel settore della gestione dei servizi pubblici, si è posto il problema della coerenza del sistema speciale regolante le possibili forme di gestione delle farmacie comunali con le nuove disposizioni di carattere generale riguardanti il settore della gestione dei servizi pubblici.


Le norme speciali regolanti le forme di gestione delle farmacie comunali, contenute nel già citato art. 9 della legge. n. 475 del 1968, come modificato dalla legge 8 novembre 1991, n. 362, non sono state tuttavia abrogate o ulteriormente modificate.

Il legislatore ha, al contrario, più volte ribadito la specialità del servizio pubblico farmaceutico e la non automatica assoggettabilità del settore alle regole nel tempo dettate per i servizi pubblici di rilevanza economica.


La specialità del servizio pubblico farmaceutico, è determinata dalla circostanza che l’attività di rivendita dei farmaci è volta ad assicurare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali e, in tal senso, a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista (Corte Costituzionale, sentenza n. 87 del 2006).


In tal senso, come pure ha ricordato il giudice di primo grado, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, nel giudicare sul sistema delle distanze minime che le legislazioni nazionali impongono per l’apertura di nuove farmacie, ha stabilito che restrizioni alla libertà di stabilimento possono ben essere giustificate dall’obiettivo di garantire alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualità (Corte di Giustizia CE, n. 570 del 2010).


Si è, pertanto, confermato che il servizio pubblico farmaceutico pur avendo una rilevanza economica, risponde tuttavia anche ad altre esigenze di carattere sociale che ne giustificano la specialità.La specialità delle modalità di gestione delle farmacie comunali è, infine, stata conservata anche dall’art. 11 del d. l. 24 gennaio 2012, n. 1


Deve essere, in questa sede, ricordato, in particolare, il comma 10 del citato art. 11, secondo cui i comuni non possono cedere la titolarità o la gestione delle farmacie neo istituite per le quali hanno esercitato il diritto di prelazione ai sensi dello stesso comma.


Sulla base degli elementi indicati si deve pertanto ritenere che le disposizioni speciali dettate per le farmacie comunali, ed anche per la loro gestione, dalla legge 2 aprile 1968, n. 475, siano tuttora in vigore.


Ciò chiarito, si pone l’ulteriore problema riguardante la possibile ammissibilità di ulteriori forme di gestione delle farmacie comunali non previste dall’art. 9 della legge 475 del 1968.


In proposito si deve osservare che lo stesso legislatore ha previsto forme di gestione del servizio farmaceutico comunale ulteriori rispetto a quelle indicate nell'art. 9 della legge 475 del 1968.


Tenuto conto di tali disposizioni e della generale estensione (ed utilizzazione) del modello delle società partecipate nel settore della gestione dei servizi pubblici locali si può ritenere che le modalità di gestione delle farmacie comunali, indicate dall’art. 9 della legge n. 475 del 1968, non siano tassative.



Va precisato però la cessione di quote di una società costituita per l’esercizio di farmacie comunali debba avvenire attraverso gara pubblica (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3647 del 9 luglio 2013).


L’affidamento della gestione è peraltro consentito in house a patto che il Comune eserciti sulla società un “controllo analogo” a quello che eserciterebbe su proprie strutture organizzative, nel concetto di controllo analogo essendo peraltro ricompresa la destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione aggiudicatrice.

Si richiede inoltre che gli altri soggetti pubblici o privati partecipanti al capitale della società mista svolgano attività che statutariamente siano compatibili con la funzione da svolgere.


Inoltre la gestione di farmacie comunali attraverso società partecipate dal comune può essere ammessa nei limiti in cui le amministrazioni comunali possono avere partecipazioni societarie.



Per completare il quadro di riferimento si deve osservare che i comuni possono anche cedere la titolarità delle farmacie comunali.


Fa eccezione la regola secondo cui, fino al 2022, tutte le farmacie istituite ai sensi del comma 1, lettera b), dello stesso articolo, sono offerte in prelazione ai comuni in cui le stesse hanno sede, che non possono poi cedere la titolarità o la gestione delle farmacie per le quali hanno esercitato il diritto di prelazione; se rinunciano alla titolarità di una di tali farmacie, la sede farmaceutica è dichiarata vacante.




Un comune può pertanto non solo decidere di non svolgere la funzione di “farmacista” (non esercitando nei termini la prelazione ad esso riservata o trasferendo la titolarità della farmacia comunale), ma può oggi svolgere tale funzione anche con modalità di gestione diverse (e non dirette) rispetto a quelle che erano state previste dall’art. 9 della legge 475 del 1968; modalità diverse che si caratterizzano per la scissione fra la titolarità della farmacia e la sua gestione.


Peraltro le esigenze di carattere sociale che nel tempo hanno determinato l’istituzione di numerose farmacie comunali sono state oggi (in gran parte) in concreto superate in numerosi comuni, che ritengono ancora utile l’istituzione (o la sopravvivenza) di farmacie comunali solo per ragioni meramente economiche.

Conclusione:


Sulla base di tutte le suesposte considerazioni si deve ritenere che un comune, nel caso in cui non intenda utilizzare per la gestione di una farmacia comunale i sistemi di gestione diretta disciplinati dall’art. 9 della legge n. 475 del 1968, possa utilizzare modalità diverse di gestione anche non dirette; purché l’esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole e dei vincoli imposti all’esercente a tutela dell’interesse pubblico.

In tale contesto, pur non potendosi estendere alle farmacie comunali tutte le regole dettate per i servizi pubblici di rilevanza economica, non può oramai più ritenersi escluso l’affidamento in concessione a terzi della gestione delle farmacie comunali attraverso procedure di evidenza pubblica.


Del resto l’affidamento in concessione a terzi attraverso gare ad evidenza pubblica costituisce la modalità ordinaria per la scelta di un soggetto diverso dalla stessa amministrazione che intenda svolgere un servizio pubblico.

Nella pratica tale modalità risulta peraltro già concretamente utilizzata da numerosi comuni.

Anche, invero, utilizzando il modello della concessione a terzi, il servizio pubblico farmaceutico può essere svolto, come si è accennato, in modo che siano garantiti gli obiettivi di rilevanza sociale che ne giustificano l’istituzione.


Tali obiettivi possono essere perseguiti con apposite clausole nel contratto di servizio sottoscritto con il concessionario, attraverso concrete modalità di controllo della gestione e con la previsione di sanzioni nel caso di inadempimento degli obblighi imposti al concessionario e con una dettagliata carta dei servizi in cui siano indicati i livelli qualitativi e quantitativi del servizio da erogare; tutto ciò al fine di garantire che la farmacia comunale possa comunque continuare ad assicurare al comune non solo un utile economico (attraverso la percezione del canone concessorio e di una percentuale sugli incassi) ma anche quegli standard qualitativi e quantitativi volti a garantire l’efficace svolgimento della funzione sociale propria del servizio farmaceutico comunale.


A tale conclusione è giunta di recente anche l’AVCP, ora ANAC, che, con la deliberazione n. 15 del 23 aprile 2014, ha affermato che l’affidamento in concessione può essere ora una delle modalità di gestione delle farmacie comunali.

In proposito il Consiglio di Stato ha affermato che le disposizioni contenute nell’art. 9 della legge n. 475 cit., che prevedono l’esercizio diretto di un servizio pubblico per i suoi rilevanti fini sociali (Consiglio di Stato, sez. III, n. 729 dell’8 febbraio2013), non possono essere richiamate per impedire l’applicazione dei principi, anche comunitari, dettati per i servizi pubblici di rilevanza economica quando l’attività assuma un prevalente rilievo economico (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3647 del 9 luglio 2013, cit.).


Peraltro il carattere sanitario di un servizio pacificamente non esclude che esso possa essere oggetto di un confronto concorrenziale tra più operatori economici in possesso dei necessari requisiti.

Avv. Aldo Lucarelli

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