Nel presente post affrontiamo il tema della divisione aziendale per volontà o per motivi di successione ereditaria. Si tratta dell'azienda di famiglia, sia essa una Farmacia, un'Assicurazione, o una industria tessile o chimica.
Accade infatti che vi possa essere una divisione aziendale provocata dalla richiesta di uno dei familiari oppure dovuta all'evento morte del titolare.
Ecco quindi che si possono verificare situazioni in cui l'azienda viene continuata solo da uno degli eredi mentre l'altro rimane inerte in attesa della propria liquidazione. Ma quale è il valore da attribuire?
Rispondiamo con punti di giurisprudenza, per una caso specifico contattateci senza impegno
Nell’apprezzare il valore dell’azienda al momento della divisione la stima dei beni per la formazione delle quote va compiuta con riferimento al loro valore venale al tempo della divisione, coincidente, nel caso di divisione giudiziale, con il momento di presentazione della relativa domanda
Tuttavia tale criterio, che si desume dall’art. 726 c.c., comma 1, è stato affermato con riferimento a beni ereditari anche aziendali ma oggetto di “mero godimento” e non di esercizio economico-produttivo.
Per i primi, (quelli di mero godimento) il valore venale dipende da fattori terzi come il decorso del tempo, o la variazioni del prezzo di mercato ecc. o da attività di amministrazione per i secondi detto valore è, invece, la risultante dell’esercizio di un’impresa.
In entrambi i casi vi può essere un incremento di valore dell’azienda rispetto alla data di apertura della successione, ma l’origine di tale maggiorazione è sostanzialmente diversa, sicchè solo nel primo caso quindi in quelli di mero godimento questa permane acquisita alla comunione mentre il dubbio si pone per qui beni derivanti dall'esercizio di impresa che con l'esercizio appunto, possono incrementare di valore.
Tale differenza è la stessa che si apprezza tra “società di persone” e “comunione di godimento”,
come alcune risalenti pronunce della Corte hanno chiarito proprio con riferimento alla comunione ereditaria d’azienda.
Farmacia successione divisione ed indennità
Nella successione ereditaria aziendale a chi vanno gli incrementi di esercizio?
E’ stato infatti osservato che la distinzione tra società di persone e comunione di godimento, trova applicazione anche riguardo ad un’azienda compresa in un’eredità.
Conseguentemente, l’azienda ereditaria forma oggetto di (semplice) “comunione” fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione,
e cioè fino a quando i coeredi si limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius, negli elementi e con la consistenza in cui essa è caduta nel patrimonio comune, come può avvenire nel caso di affitto dell’azienda stessa.
Allorchè, invece, quest’ultima viene ad essere esercitata con fine speculativo, con nuovi incrementi e con nuovi utili derivanti dal nuovo esercizio, possono verificarsi due ipotesi:
o l’impresa è esercitata, d’accordo, da tutti i coeredi, i quali convengono di continuarne l’esercizio, apportando nuovi incrementi o sviluppando i precedenti, a fine speculativo, e, in tal caso, sussistono tutti gli elementi della società,
ovvero la continuazione dell’esercizio dell’impresa è effettuata da uno o da alcuni dei coeredi soltanto, e quindi il successivo esercizio, con gli utili e le perdite conseguenti, non può essere imputato che al coerede o ai coeredi predetti
Ne deriva che, applicato il principio di diritto sopra richiamato,
(i) le consistenze, l’avviamento e dunque il complessivo valore aziendale devono essere fissati, ai fini divisionali, alla data di apertura della successione (salvo ovviamente la rivalutazione per il periodo successivo; e
(ii) le spese, gli incrementi o i decrementi aziendali successivi a tale data, essendo ascrivibili all’attività imprenditoriale del solo erede e non possono essere considerati comuni.
In ordine alla quantificazione dell’avviamento della farmacia,
occorre premettere che la questione è valutata in relazione Regio Decreto n. 1265 del 1934, art. 110 ai sensi del quale L'autorizzazione all'esercizio di una farmacia, che non sia di nuova istituzione, importa obbligo nel concessionario di rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché di corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi un'indennità di avviamento in misura corrispondente a tre annate del reddito medio imponibile della farmacia, accertato agli effetti dell'applicazione dell'imposta di ricchezza mobile nell'ultimo quinquennio.
Ciò posto, si rileva che va data continuità al principio per cui l’indennità di avviamento della farmacia non deve essere determinata con i criteri di libero mercato, ma con quelli più restrittivi R.D. n. 1265 del 1934, ex art. 110 e ciò anche nell’ipotesi di trasferimento mortis causa che si assuma lesivo di legittima, trattandosi pur sempre di un’azienda soggetta a vincoli di diritto pubblico incidenti sul margine di profitto (Cass. n. 21523).
Pertanto, essendovi causa derivativa (non tra condividenti, ma) tra il de cuius e l’assegnatario del bene in sede di divisione (v. art. 757 c.c.), all’applicazione di tale principio di diritto non si sottrae l’azienda farmaceutica che, oggetto di comunione ereditaria, sia assegnata a uno solo dei comproprietari.
Tuttavia nella motivazione della sentenza 2153 del ottobre 2015 si legge testualmente: “Il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 110 (Testo Unico delle leggi sanitarie) dispone che
«l'autorizzazione all'esercizio di una farmacia, che non sia di nuova istituzione, importa l'obbligo nel concessionario di rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché di corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi un'indennità di avviamento in misura corrispondente a tre annate del reddito medio imponibile della farmacia, accertato agli effetti dell'applicazione dell'imposta di ricchezza mobile nell'ultimo quinquennio».
Ma parte della giurisprudenza ha configurato l'indennità in oggetto come una «obbligazione ex lege rivolta a compensare non già una perdita di avviamento ... ma unicamente il fatto della sopravvenuta disponibilità dell'esercizio, con il passaggio ad altri della sua titolarità» (Cass. 9477 e Cass. n. 6099).
Un diverso indirizzo, che ha ricevuto l'avallo della Corte Costituzionale nella sentenza n. 333 in conformità con la «spiccata connotazione imprenditoriale assunta dall'esercizio farmaceutico», ha ritenuto invece che l'indennità di avviamento di cui al riportato articolo costituisce «il corrispettivo dell'incremento dell'attività dell'esercizio»
Quindi per concludere se l'azienda farmacia è sviluppata e portata avanti da uno solo degli eredi a questo soltanto spetteranno gli incrementi di valore mentre all'altro andrà il valore “statico” dovuto e concretizzato al momento della divisione o della successione.
Quanto al criterio dell'indennità di avviamento sarà utilizzabile l'art. 110 del R.D. del 1934 non senza valorizzare tuttavia la locuzione "nonché" contenuta in detto articolo e quindi bilanciare sia le esigenze del privato con il principio pubblicistico, ed evitando (ad avviso di chi scrive) di cadere nella trappola di non considerare i valori aziendali depurati dai dati fiscali.
Hai un quesiti? Consulta il blog gratuito o contattaci per un tuo caso specifico
Avv. Aldo Lucarelli
Cass. 10188/19 Trib. Na. 4947/23.
留言